In questa sezione vi forniamo le risposte alle domande che più frequentemente vengono poste su questo argomento. Ulteriori quesiti vi saranno chiariti al momento del contatto con i nostri esperti. Per realizzare una buona tartufaia vi incoraggiamo a conoscere più approfonditamente il regno dei tartufi.
Le varie specie di tartufi appartengono al genere Tuber. Non fatevi ingannare dal nome, in quanto il tartufo non e' un tubero, ma è un fungo simbionte che si sviluppa a partire da apici radicali vivi di una pianta simbionte. Il regno dei funghi si divide in due grandi classi: i Basidiomiceti e gli Ascomiceti. Il tartufo appartiene alla divisione degli Ascomiceti (Ascomycota), alla classe Pezizomycetes, all'ordine Pezizales, alla famiglia Tuberaceae e al genere Tuber (Eriksson O.E., et al., 2001,2004).
L'etimologia del termine Micorriza deriva dal greco. Mico significa fungo, Riza radice. Una micorriza è una simbiosi tra un fungo e una radice di un vegetale ospite ( Frank 1885).
Le micorrize sono suddivise in tre gruppi: Ectomicorrize, Endomicorrize, Ectoendomicorrize.
Il tartufo forma ectomicorrize, cioè micorrize che avvolgono esternamente l'apice radicale con un intreccio di ife, spesso denso e compatto, cementato da materiali di natura polissacaridica, formando così un mantello fungino di spessore variabile. Da questo mantello si allungano ife e cistidi in grado di captare i nutrienti nel terreno. Da questa struttura, nella fase finale del ciclo biologico, si formeranno i corpi fruttiferi, cioè i tartufi.
Quindi non tutte le micorrize che crescono sulla radice produrrano tartufi. Le analisi che vengono eseguite sulle piante servono ad identificare e proteggere questo delicato equilibrio che si instaura tra radice e fungo, in quanto per riuscire ad arrivare al frutto (tartufo), bisogna conservare le micorrize e favorire il loro incremento, formando un ambiente adatto al loro sviluppo.
Le specie arboree e arbustive che vivono abitualmente associate con i tartufi pregiati sono alcune decine e appartengono alle Gimnosperme e alle Angiosperme. Vengono micorrizati ontano, carpino, nocciolo, faggio, pioppo, quercia (leccio, rovere, roverella, farnia, sughera, cerro), salici, tigli, abete bianco, cedro, abete rosso, pino (d'Aleppo, nero, marittimo, domestico, silvestre, strobo).
E' bene precisare che ogni specie di tartufo, pur potendosi micorrizare con un buon numero di piante simbionti, presenta particolari affinità con alcune di esse. Per esempio il Nocciolo (Corylus avellana) forma abbondanti micorrize con numerosi tartufi ma e' un cattivo produttore di carpofori di T.magnatum, mentre manifesta una fortissima affinità per il T.brumale.
L'affinità tra le varie specie di tartufo e le piante simbionti deve essere tenuta in attenta considerazione nella progettazione di una tartufaia coltivata.
Purtroppo no. Il ruolo delle micorrize è ancora poco conosciuto. Tuttavia, alcuni aspetti sono già stati delineati. La pianta, tramite la fotosintesi clorofilliana, produce zuccheri che raggiungono tutte le parti dell'apparato vegetativo e quindi anche le piccole radici invase dai funghi simbionti. Questi, incapaci di produrre zuccheri in quanto privi di clorofilla, prelevano le sostanze idrocarbonate dalla pianta, le utilizzano per il loro metabolismo e in parte le accumulano nelle ife sotto forma di glicogeno.
Il micelio fungino si sviluppa dalle micorrize ed esplora il terreno nelle sue più piccole particelle, prelevando acqua e sali di numerosi elementi nutritivi tramite l'enorme superficie di assorbimento che realizza con l'impiego della minima quantità di materia organica. L'assorbimento, pertanto, è molto più efficace di quello che la pianta può effettuare con i suoi peli radicali, essendo questi corti, relativamente grossi e di continuo rinnovati con grande dispendio di materiale vivente ed energia.
Nei suoli naturali, generalmente poveri di elementi nutritivi, la simbiosi micorrizica è indispensabile per assicurare un sano accrescimento delle piante.
La micorriza si mantiene e sviluppa i corpi fruttiferi se mantenuta in un ambiente ipogeo adatto.
Terreni troppo ricchi di elementi e concimati regolarmente portano la pianta ad abbandonare le micorrize, in quanto essa non necessita di nessuno aiuto per sopravvivere.
Terreni naturali, anche in zone impervie, con caratteristiche sfavorevoli per la maggioranza delle colture, risultano spesso essere i più adatti alla tartuficoltura. Nel terreno, inoltre, non esistono solo le ectomicorrize, ma spesso troviamo parassiti o micorrize concorrenti, aggressive e meglio adattate, che sostituiscono le micorrize del genere Tuber.
Per evitare questo pericolo è fondamentale scegliere bene sia la specie tartufigena che la specie arborea piu' adatta al terreno e seguire l'impianto soprattutto nei suoi primi anni di vita.
No, l'analisi del terreno è fondamentale per capire se il vostro terreno è adatto o meno alla realizzazione di una tartufaia. Il pH acido, ad esempio, è uno dei principali fattori che fanno scartare un terreno. Inoltre, ogni specie di Tuber predilige differenti caratteristiche fisico-chimiche dei suoli, come la porosità, il contenuto di carbonati, il livello di potassio, la tessitura delle particelle, la quantità di sostanza organica. Scegliere bene il tipo di pianta e la specie di tartufo garantisce il successo o meno della tartufaia.
Il tartufo bianco pregiato è talmente tanto instabile che per ora non sono mai stati ottenuti dei risultati positivi. Sono stati registrati dei successi in casi di allargamento di tartufaie già naturalmente produttive di tartufo bianco pregiato. Ovviamente inserendo piante autoctone in un ambiente già ricco di spore e micorrize e in presenza di un terreno assolutamente adatto, il successo di una tartufaia coltivata vicino ad una naturale è quasi del 100 %. Purtroppo molti di noi non hanno la fortuna di possedere una tartufaia naturale che produce bianco pregiato.
Dopo un sopralluogo da parte di un tecnico e l'analisi chimico-fisica del suolo designato, potete scegliere se preferire una specie tartufigena meno quotata nel mercato, ma sicuramente più rustica e abbondantemente produttiva, a una specie più pregiata ma dai rischi di produzione sempre più elevati.
Se il terreno non risulta adatto alla coltivazione, ad esempio, del tartufo nero pregiato, non significa che non si può produrre tartufo ma magari cresce bene un tartufo minore, come l’aestivum o l’uncinatum.
L’installazione di una tartufaia è un’attività imprenditoriale. Solo voi potete calcolare i rischi che volete correre. Contattate sempre un tecnico preposto per ottenere maggiori chiarimenti.
Sicuramente è molto meno impegnativa di tutte le altre pratiche agronomiche, come la viticoltura, l’olivicoltura, la frutticoltura ecc.
Avendo a che fare con materiale vegetativo vivo, un minimo impegno è fondamentale, soprattutto nei primi 3-4 anni di vita. La pacciamatura intorno al colletto della pianta, la pulizia delle erbe infestanti, l’irrigazione e le potature sono praticamente gli unici lavori da eseguire. Raramente è necessario ricorrere a trattamenti fitosanitari e la concimazione (o la fertilizzazione) è sempre fortemente sconsigliata. La recinzione della tartufaia, soprattutto se si effettua su zone ricche di animali selvatici, viene consigliata vivamente.
Considerando la manutenzione richiesta e la resa produttiva, la formazione di una tartufaia è sicuramente molto vantaggiosa.